FRANCESCO BARASCIUTTI: FOTOGRAFO RITRATTISTA MA NON SOLO.

Entri nello studio e hai l’improvvisa sensazione di essere ‘osservato’. Poi ti accorgi che effettivamente sono decine di occhi che ti seguono, mentre ti muovi. Sono gli sguardi dei personaggi - artisti, attori, scrittori, cantanti - ritratti da Francesco Barasciutti, che occhieggiano dalle pareti. Sono stati colti dal fotografo mentre fissavano l’obiettivo, quell’occhio freddo e impietoso, che riesce magicamente a fermare il tempo. Al suo posto ora ci sei tu, che inconsapevolmente trascini i loro sguardi mentre ti aggiri per lo studio.Mentre osservo le decine di ritratti, disposti ordinatamente sulle pareti, non posso fare a meno di pensare che, mettersi davanti a un obiettivo per un ritratto è un po’ come sedersi sul lettino dello psicanalista. Anche con il fotografo si crea una sorta di arrendevole complicità che, alla fine, rende il ‘modello’ del tutto inerme di fronte alla lenta ma inesorabile ricerca, da parte del ritrattista, di quella ‘aura’, che ogni essere umano irradia e che non è altro che l’emanazione della propria personalità. Sorprendentemente Francesco usa proprio questa parola desueta ma intensamente poetica, ‘aura’, che sembra mutuata da certa terminologia della filosofia orientale. Chissà, forse anch’egli è coinvolto in qualche pratica iniziatica, che gli consente di percepire quell’alone di energia radiante che, secondo il pensiero yoga, si sprigiona dai corpi e risulta invisibile a chi non è dotato di particolari poteri psichici. Al di là di ogni (improbabile) implicazione esoterica, non c’è dubbio che alcuni esiti di questi magici incontri possano essere accolti fra gli esempi paradigmatici della ritrattistica fotografica. Come, ad esempio, lo straordinario ritratto di Ugo Tognazzi del 1990, dove l’attore appare con la sua aria gattesca, un po’ sorniona e un po’ ironica, lo sguardo in tralice e la sigaretta fra le dita. Ebbene, credo che questa immagine, realizzata rigorosamente in bianco e nero, appartenga a quel ristretto numero di opere emblematiche, destinate probabilmente a trasformarsi nel tempo in vere e proprie icone popolari. Sarà difficile ormai, dopo aver visto la fotografia di Barasciutti, ricordare l’attore in maniera diversa. Del resto, i ritratti del fotografo veneziano sembrano appartenere a un’iconografia rassicurante, duratura e immodificabile. Talvolta basta un particolare anatomico, sul quale l’obiettivo sembra soffermarsi casualmente, per ricuperare il personaggio nella sua interezza fisica e, vorrei dire, umorale: la fitta ragnatela di rughe sul volto di Pizzinato, le mani di Manina (sembra un gioco di parole), la mimica istrionica di Dario Fo. Francesco confessa di essere ‘affascinato dallo sguardo dell’essere umano’. Non c’è dubbio: per lui la fotografia s’identifica totalmente col ritratto. ‘Se non fossi stato attratto dai ritratti’ ammette ‘non avrei fatto il fotografo. A diciassette anni ho avuto l’occasione di vedere un libro di fotografie di Irving Penn, che mi ha letteralmente folgorato. È stato così che ho deciso di fare il fotografo’. Barasciutti è nato a Venezia nel 1969. Il momento della svolta decisionale coincide con un evento tragico: la morte improvvisa del padre, fotografo anch’egli. Francesco depone nel cassetto il diploma di ottico, ottenuto da poco, e decide di continuare l’attività paterna, diventando fotografo professionista. Quattro anni dopo espone con successo una serie di ritratti alla Galleria ‘Il Traghetto’ di Venezia. Nel 1995 partecipa alla Biennale di Venezia e nel 1998 vince il ‘Kodak European Portrait Gold Award’, assegnatogli quale migliore fotografo ritrattista italiano. Le sue opere figurano ormai in molte collezioni italiane e straniere, fra cui la prestigiosa ‘National Portrait Gallery’ di Londra, che nel 2003 ha acquistato due sue fotografie. Benché la sua fortuna critica derivi in massima parte dalla sua opera di ritrattista, faremmo un grave torto all’artista, se ignorassimo gli esiti altamente poetici dei suoi lavori ispirati a Venezia. Fotografare oggi Venezia può apparire un’impresa folle (forse lo è), un peccato di presunzione. L’immagine della città si è ormai identificata con un mortificante stereotipo ad uso turistico, che sembra non lasciare spazio a nuove interpretazioni artistiche. Ma il lavoro di Francesco si salva, incredibilmente, grazie al suo lungo operare nel campo del ritratto, e ci regala opere di struggente bellezza, come “Nebbia” del 2008. Perché anche nelle immagini metamorfiche, che Venezia gli offre, egli riesce a carpire quell’aura invisibile che, in un ventennio di appassionato lavoro, ha incessantemente ricercato nel volto umano.

Aldo Andreolo, Venezia 2009.


FRANCESCO BARASCIUTTI: PORTRAIT PHOTOGRAPHER AND MUCH MORE

You enter the study and have the sudden feeling of being ‘seen’. Then you realize that actually have dozens of eyes following you while you move. They are the eyes of the characters - artists, actors, writers, singers - portraits by Francesco Barasciutti that watch you from the walls. They have been captured by the photographer while they were looking into the lens, a cold and merciless eye, which magically manages to stop time. And now, instead oh him, it’s you, who unwittingly are dragging their eyes while you go around in the studio. While I look at the dozens of portraits, arranged neatly on the walls, I can’t help thinking that getting in front of a lens for a portrait is a ‘bit like sitting on the bed of the psychoanalyst’. Even with the photographer you can create a sort of complicity that yielding in the end makes the ‘model’ totally helpless in front of slow but relentless research by the portraitist of that ‘aura’, that every human being radiates and that is the rise of his personality. Surprisingly Francesco uses that old but intensely poetic word, ‘aura’, which seems borrowed from a Eastern philosophy terminology. Who knows, maybe he is involved in some initiatory practices, too, which allow him to perceive that very ‘alone of radiant energy’ that, according to the yoga thought, is emitted from the bodies, and it’s invisible to those aren’t endowed with special psychic powers. Beyond all (unlikely) esoteric involvement, there is no doubt that some outcomes of these magic meetings can be accepted among the paradigmatic examples of photographic portraiture. How, for example, the extraordinary portrait of the 1990 Ugo Tognazzi, where the actor appears with his cat air, slightly ‘absent’ and a little bit ironic, sideaways looking and a cigarette between his fingers. Well, I believe that this picture, produced strictly in black and white, belongs to that limited number of emblematic works, probably destined to be transformed over time into genuine popular icons. It will be difficult now, after having seeing the Barasciutti’s photo, remembering the actor in a different manner. Moreover, the portraits of the Venetian photographer seem belonging to a reassuring, lasting and unchangeable iconography. Sometimes just a particular anatomy, where the objective seems to stop randomly, to recover the character in its physical and (I would say) humorous: the dense web of wrinkles on Pizzinato’s face, Manina’s hands (it looks like a play on words), Dario Fo’s histrionic gestures. Francesco confesses to be ‘fascinated by the glance of human beings’. There is no doubt: for him the photograph totally identifies with the portrait. ‘If I haven’t been attracted by portraits’ admits ‘I wouldn’t have done the photographer. When I was seventeen I had the opportunity to see a book of photographs by Irving Penn, that literally struck me. That’s the reason for I decided to do the photographer ‘. Barasciutti was born in Venice in 1969. The moment of decision-making turning point coincides with a tragic event: the sudden death of his father, a photographer too. Francesco put in the drawer his optician’s diploma, obtained recently, and decided to continue his father’s business, becoming a professional photographer. Four years after exhibited successfully a series of portraits in the Gallery ‘Il Traghetto’ in Venice. In 1995 participated in the Biennale di Venezia and in 1998 won the ‘Kodak European Gold Portrait Award' as the best Italian portrait photographer. His works are now in many Italian and foreign collections, including the prestigious’ National Portrait Gallery ‘of London, which in 2003 purchased two of his photographs. Although its critical fortune derives largely from his work as a portraiter, we seriously would do wrong the artist, if we ignored the highly poetic results of his works inspired by Venice. To photograph Venice today may seem crazy (maybe it is), a sin of presumption. The image of the city is now identified with a demeaning stereotype used for tourism, which seems not to let any space for new artistic interpretations. But Francesco work is saved, incredibly, thanks to his long work in the portrait, and give us works of a harrowing beauty such as "Fog" of 2008. Because even in the metamorphic pictures, that Venice offers him, he manages to catch that invisible ‘aura’ that in twenty years of passionate work, he has tirelessly searched in the human face.

Aldo Andreolo, Venice 2009.

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