Le uniche alte mura, a Venezia, sono state edificate per
delimitare e proteggere quel quinto di città dedicato alla
costruzione dei manufatti atti a difesa e offesa: l’Arsenale.
Altrimenti l’acqua era stimata sufficiente per dissuadere
un potenziale avverso. I campanili scandivano il tempo.
Di torri non se n’è mai sentita la necessità. Tanto da
diventare abbellimenti: la coppia di guglie che si eleva,
dal cornicione della facciata, al di sopra del tetto dei
palazzi dei benemeriti della guerra, i capitani generali
de mar. Nel tessuto connettivo della città sull’acqua
(ma anche della gran parte dei centro storici delle città
più antiche), nulla di più lontano dalla logica, dall’ordine
degli accampamenti romani che stanno alla base degli
insediamenti più recenti: campus contro castrum ovvero
il terreno coltivato contro il terreno attrezzato a
difesa/attacco. Anni or sono una delle prime pubblicità
realizzate grazie al computer faceva crescere il grano
nelle più importanti piazze d’Italia. Piazza. A Venezia si sa
ce n’è una sola perché gli altri “slarghi” sono campi.
Non squadrati, occasionali, irregolari come l’illogica
urbanistica della loro intrinseca logica ha imposto. Uniti
tra loro da quelle callette e fondamenta che, guardando
da lontano, potrebbero apparire come trait d’union,
identificandoli così come tappe, caselle di uno smisurato
“gioco dell’oca”. Ma dove troveremo mai quel grande
dado da gettare per capire di quante caselle avanzare per
terminare il percorso? Dove lo getteremo quel grande
dado per capire come procedere, tappa dopo tappa,
verso la meta più ambita, la “sala da ballo più bella del
mondo”? Come sfuggire ai pegni che questo enorme
gioco dell’oca pretende ad ogni giro? La chiusura di una
drogheria fa aprire un bazar made in china?
La ristrutturazione di quel palazzo porta nuove case per
i residenti? O un Bed&Breakfast? Un albergo camuffato?
Spostandosi con le ore, l’ombra netta che segna lo
spazio, cosa libererà alla visione dell’occhio, la gloriosa
e bigia trachite o quel succedaneo noccioleggiante
bocciardato che rende la tonalità di fondo delle caselle
più calde e più chiare, cambiando definitivamente
il colore della città? E se al prossimo giro trovassimo
un enorme cartellone pubblicitario con una belloccia
enormemente discinta che preannuncia un restauro senza
fine? Meglio fermarsi un attimo e aspettare che quel
taglio d’ombra che attenua la visione, esaltando nel
contempo lo sfondo, provi a farlo scomparire?

Carlo Montanaro

Previous page